Il mondo del crowfunding non si ferma e continua ad evolversi giorno dopo giorno. Tant’è che, dopo aver analizzato l’ascesa del Fintech e dell’equity crowdfunding all’interno del panorama mondiale e italiano, adesso è tempo di soffermarsi su uno dei sottoinsiemi più emergenti del crowd: il crowdfunding royalty-based.
Identificato anche più semplicemente con il nome di royalty crowdfunding, il crowdfunding royalty-based è l’ultimo, in ordine di tempo tra i modelli di raccolta fondi "dal basso". Si va ad aggiungere agli altri due modelli già esistenti: il crowdfunding donation-based e il crowdfunding reward-based.
Essendo definito un vero e proprio ibrido di entrambi, il crowdfunding royalty-based non fa altro che combinare il funzionamento di questi due modelli, distanziandosene, per alcune peculiarità ben precise. Infatti, contemporaneamente, non prevede né una semplice donazione (come nel caso del crowdfunding donation-based), né una ricompensa in termini di prodotto o servizio (come accade con il crowdfunding royalty-based).
Crowdfunding royalty-based: come funziona e cosa prevede
Entrando nel merito di come funziona e cosa prevede il crowdfunding royalty-based, è importante sottolineare che esso si basa su un assunto ben preciso: se un investitore finanzia una campagna di raccolta (basata proprio su questo modello) riceve in cambio le cosiddette royalties, ossia una parte dei profitti. In sintesi, chi lancia questo tipo di campagna offre ai sottoscrittori delle quote di guadagni futuri del progetto.
Volendo dare una spiegazione più dettagliata, il crowdfunding royalty-based permette a colui che vuole realizzare quel determinato progetto di vendere parte dei suoi potenziali guadagni e all’investitore che decide di partecipare a quella determinata campagna di acquistare una parte di quei ricavi che potrebbero essere generati da quel business finanziato.
In questo modo, il crowdfunding royalty-based consente all’investitore di ottenere un flusso di reddito regolare garantito e ai promotori della campagna di rimanere gli unici proprietari di quella determinata attività. Nonostante ciò, è importante precisare che questo modello è per lo più utilizzato da aziende con alti margini di profitti, in quanto le royalties - che spesso coincidono con diritti di proprietà intellettuale - devono essere detratte dal fatturato e aggiunte come costi.