"Quando ti siedi a un tavolo da gioco e non hai ancora capito chi è il pollo, allora ci sono molte probabilità che il pollo sia proprio tu". Questa celebre frase dell'icona del trading Joe Ross dovrebbe essere tenuta ben presente da parte degli investitori quando si cimentano in attività di cui non conoscono a fondo i contenuti e soprattutto non ne valutano la portata delle conseguenze. Invece, purtroppo, nel tempo si riproducono sistematicamente episodi in cui le vittime cascano nella rete di impostori che ben architettano le truffe facendo leva sugli aspetti psicologici più delicati delle persone.
Gli imbrogli in ambito finanziario, seppur abbiano sempre molte caratteristiche in comune, non sono però tutti della stessa natura. Alcuni vengono realizzati in maniera diretta, ad esempio facendosi affidare i risparmi delle persone e sparendo con la cassa; altri invece in maniera indiretta, attraverso la bancarotta di una società che crolla in Borsa e che non rimborsa le obbligazioni.
Negli ultimi anni hanno preso piede le truffe derivanti dai sistemi di trading innovativi, che coinvolgono soprattutto le criptovalute attraverso la promessa di guadagni strabilianti con l’investimento di pochi soldi e che poi si rivelano essere per quello che sono. Vediamo quindi nella storia quali sono state alcune delle truffe più eclatanti che hanno mandato in fumo i risparmi delle persone e che hanno lasciato una traccia indelebile nel mondo della finanza.
Lo schema Ponzi
Lo schema Ponzi è stato ed è ancora una delle tecniche truffaldine più seguite nella finanza mondiale. È stato ideato da un immigrato italiano negli Stati Uniti, Charles Ponzi, all'inizio del ventesimo secolo. La tecnica si sviluppa in quattro fasi. Nella prima viene promesso a un potenziale cliente un rendimento superiore al mercato e in tempi brevi, se costui affida i soldi in prestito. Nella seconda viene effettivamente restituita la somma destinata per far credere che il sistema funziona davvero e non si tratti di un inganno.
Nella terza si diffonde il messaggio che l'investimento sia redditizio e sicuro in modo tale da attirare altri potenziali clienti. In questo modo si pagano gli interessi alti e si rimborsa il capitale con il denaro dei nuovi clienti che affluisce. Nell'ultima fase si ha l'implosione del meccanismo allorché le richieste di rimborso dei clienti attuali superano i versamenti dei nuovi malcapitati.
All'epoca Ponzi fece cadere nella rete circa 40 mila persone, raccogliendo oltre 15 milioni di dollari dopo essere partito da una cifra di appena 2 dollari. Il 13 agosto 1920 il re della truffa venne arrestato e il 1° novembre dello stesso anno condannato a 5 anni, da scontare in una prigione federale.
La truffa di Madoff
Una perfetta replica dello schema Ponzi fu adottata dal finanziere americano Bernard Madoff tra gli anni '90 e il primo decennio del nuovo millennio. Il sinistro personaggio raccoglieva denaro promettendo il 10% di interessi anche in condizioni di mercato avverse attraverso la sua società, la Bernard Madoff Investment Securities. Destò molto sospetto il fatto che i suoi investimenti non avessero subito alcuna conseguenza da episodi molto turbolenti come la crisi asiatica del 1997 e l'attentato alle Torri Gemelli del 2001. In verità, non vi era alcun investimento. Madoff aveva messo in piedi un nuovo schema Ponzi, depositando i fondi raccolti presso la Chase Bank.
In questa brutta storia lascia perplessi come la Securities and Exchange Commission non si sia accorta di nulla. Nel 2008 però avvenne il patatrac. Con il crollo della Lehman Brothers, impazzarono le richieste di prelievo per circa 7 miliardi di dollari, che ovviamente la società di Madoff non fu in grado di onorare. A quel punto venne scoperto il vaso di pandora e l'11 dicembre dello stesso anno Madoff venne arrestato dagli agenti federali con l'accusa di aver truffato i suoi clienti causando un ammanco pari a circa 65 miliardi di dollari. Il crimine diabolico del finanziere, così come lo definì il giudice di New York che condannò Madoff a 150 anni di carcere, portò a episodi tragici come il suicidio di uno dei figli, trovato impiccato nel suo appartamento newyorchese.
Il telefinanziere Mendella
A cavallo tra gli anni '80 e gli anni '90 nel palcoscenico della finanza italiana spuntò un imprenditore rampante, il telefinanziere Giorgio Mendella. Da venditore di quadri nel 1987 fondò una rete televisiva, Retemia, che inizialmente trasmetteva in ambito locale, ma poi grazie alla legge Mammì estese la sua presenza in tutto il territorio nazionale.
Fu proprio attraverso la televisione che Mendella costruì un impero da 400 miliardi di vecchie lire. I telespettatori furono indirizzati a investire capitali nella sua holding Intermercato, che prometteva rendimenti fino al 30%. Gli investimenti erano in azioni e anche in immobili in Romania, che avrebbero conosciuto un grande splendore con il crollo del regime Ceaucescu.
Le persone attirate nella trappola furono più di 20 mila, ma a marzo del 1991 negli uffici di Intermercato piombò la Guardia di Finanza, che mise sotto sequestro la holding. Per Mendella iniziò un processo penale, con una sfilza di accuse che andavano dal falso in bilancio alla bancarotta fraudolenta, all'associazione a delinquere finalizzata alla truffa e alla raccolta abusiva del risparmio. Nel 1999 il Tribunale di Lucca condannò Mendella a 9 anni di reclusione, sebbene lo assolse dai reati di associazione a delinquere e truffa. Altri reati invece caddero in prescrizione.
I prodotti MyWay e 4You
Agli albori del nuovo millennio spuntarono due prodotti atipici che inizialmente sembravano a basso rischio ma poi si sono rivelati molto controversi. Si trattava dei piani ad accumulo pensionistico a 15 e 30 anni MyWay e 4You di Banca 121, facente parte poi del gruppo Monte dei Paschi di Siena. L'accumulo in teoria poteva essere dismesso in qualsiasi momento, con la restituzione di quanto versato.
La rischiosità stava però nel fatto che tali contratti richiedevano al risparmiatore di aprire un finanziamento a lungo termine che prevedeva il rimborso di rate mensili comprensive ovviamente di interessi. Ciò serviva per investire in obbligazioni e fondi comuni. Tra l'altro, il contratto prevedeva l'apertura di un conto corrente e un conto titoli presso la banca, con elevate penali in caso di recesso. Ai risparmiatori inoltre venne chiesto di aderire a un investimento per poter godere del capitale dopo 15 o 30 anni.
La formula adottata ha fatto propendere per la nullità dei contratti, pronunciata dalla Corte Suprema di Cassazione in tre occasioni: nel 2012, nel 2017 e nel 2019. Questo perché tali schemi contrattuali risultavano illegittimi in base alle sentenze per "mancanza di informazione effettiva, causa illecita, diritto di recesso apparente e conflitto di interesse".
Il cryptoschema Ponzi di Quadriga CX
Lo schema Ponzi è arrivato anche nelle criptovalute. Nel 2018 l'exchange Quadriga CX dichiarò bancarotta dopo aver raccolto circa 200 milioni di dollari dai risparmiatori, che rimasero con un pugno di mosche in mano. Il sistema fu architettato dal fondatore della società crittografica Gerald Cotten, che sarebbe morto in India ma della sua dipartita esistono ancora molti dubbi.
Cotten faceva vedere ai clienti che gli affidavano i soldi per investire in Bitcoin guadagni esorbitanti, poi risultati falsi. In realtà tali fondi venivano utilizzati per investimenti personali. Di fatto l'Amministratore di Quadriga era l'unico a conoscere la password per accedere ai conti. Le indagini giudiziarie portarono a una verità scomoda: chi voleva incassare i Bitcoin veniva rimborsato con i nuovi capitali raccolti, ma non vi era stato di fatto alcun investimento. Tutto questo ha funzionato fino a quando il sistema non è imploso, come il più classico degli schemi Ponzi.
La truffa dei vip di Bochicchio
Ancora lo schema Ponzi protagonista quando nel 2020 scoppiò lo scandalo dei grandi personaggi dello sport e della televisione truffati da Massimo Bochicchio, ex manager di HSBC, attraverso le sue società finanziarie londinesi Tiber Capital e Kidman Asset Management. Bochicchio era riuscito a stringere amicizie importanti nel salotto buono dell'aristocrazia romana e convinse molti soggetti famosi ad affidargli i propri risparmi dietro la promessa di rendimenti superiori al 10%. In tutto il broker dei potenti era riuscito ad accumulare oltre 500 milioni di euro, sebbene dalle indagini risultava che il giro di denaro potesse essere arrivato fino 1,8 miliardi di euro.
Alla fine 38 truffati si costituirono parte civile, tra cui figuravano Antonio Conte che perse 24 milioni di euro e Stephan El Shaarawy defraudato per 6 milioni di euro. Mentre un’altra vittima illustre dello sport, Marcello Lippi, non si costituì parte civile. Ma dove finivano i capitali? A partire dal 2011, attraverso Tiber e Kidman, Bochicchio veicolava il denaro raccolto in investimenti realizzati in Paesi a ridotta tassazione, come Singapore, Hong Kong e Dubai. Tuttavia, solo una parte di questi soldi finivano là, il resto era stato dirottato nei conti personali del socio Sebastiano Zampa e ovviamente di Bochicchio.
Quando alle domande di prelievo da parte degli investitori venivano date risposte vaghe con la richiesta di tempo, i vip mangiarono la foglia e si rivolsero alla Procura di Milano. Da quella di Roma partì l'ordine di arresto per Bochicchio, con una serie infinita di reati. Bochicchio però non si fece prendere e fuggì prima a Dubai, poi Hong Kong, poi a Singapore e infine in Indonesia, dove finì la sua corsa nell'estate del 2021 perché su di lui gravava un ordine di arresto internazionale.
Il suo processo non vedrà però una conclusione dal momento che il 19 giugno 2022 Bochicchio, agli arresti domiciliari e dopo aver ottenuto un permesso, si spense a causa di un incidente stradale. Il corpo carbonizzato venne riconosciuto solo per via del braccialetto elettronico di localizzazione che portava al polso, ma di certo vi è che con sé ha portato tutti i segreti di dove sono finiti i soldi truffati ai vip.