La transizione energetica è ormai diventata un passo inevitabile. La presenza di anidride carbonica nell'aria ha raggiunto livelli record e insostenibili. Di conseguenza, se non si fa immediatamente qualcosa per abbassare il livello di inquinamento nell'atmosfera, per gli scienziati gli impatti ambientali potrebbero essere catastrofici.
L'arrivo della pandemia ha reso ancora più urgente il problema e non più ritardabile la ricerca della soluzione. Per questo, Governi e imprese private di tutto il mondo si sono impegnati senza esitazioni a raggiungere quanto stabilito dall'accordo di Parigi del 2015: mantenere il riscaldamento globale al di sotto della soglia di 2 °C e limitare l'incremento a 1,5 °C. Per mettere in pratica il piano, è necessario ridurre del 50% le emissioni di CO2 entro il 2030, fino ad azzerarle nel 2050.
Ma questo che effetto avrà nel mondo della finanza? Un ramo particolare che andrebbe analizzato è quello delle banche, le quali hanno ancora in carico una massa di asset collegati in qualche modo ai combustibili fossili. E guardando dentro agli istituti di credito europei, emergono degli aspetti molto inquietanti che potrebbero far presagire l'arrivo di una nuova crisi finanziaria.
Transizione energetica: un rapporto allarmante per le banche
Un rapporto del Rousseau Institute, Friends of the Earth France e Reclaim Finance, ha messo in luce come le 11 maggiori banche dell'Unione Europea hanno impiegato 532 miliardi di euro in attività che hanno a che fare con le sostanze inquinanti. Tra gli istituti vi sono enti del calibro di BNP Paribas, Deutsche Bank, UniCredit, Société Generale, Credit Agricole e Commerzbank.
Queste attività contribuiscono a determinare il 95% del Common Equity Tier 1: nello specifico rappresentano il 131% del capitale CET1 di Credit Agricole, il 109% di quello di Deutsche Bank e il 68% del CET1 della spagnola Banco Santander SA, per fare degli esempi.
Secondo lo studio, se ci dovesse essere un improvviso crollo delle attività che riguardano i combustibili tradizionali per effetto della transizione energetica, molte banche si troverebbero in gravissima difficoltà. L'effetto quindi potrebbe essere quello di uno tsunami finanziario simile alla crisi dei mutui subprime del 2008.
Questo si verificherebbe qualunque fosse la velocità della perdita di valore degli asset detenuti dalle banche, alcune delle quali potrebbero vedere lo spettro della bancarotta. Ad esempio, qualora le attività concernenti i combustibili fossili dovessero perdere l'80% del loro valore, come del resto accadde ai famosi titoli cartolarizzati che avevano come sottostante i mutui subprime, a quel punto le francesi Credit Agricole e Société Generale sarebbero sottocapitalizzate per coprire le perdite e le tedesche Deutsche Bank e Commerzbank verrebbero quasi completamente svuotate.
Banche: cosa fare per evitare una nuova crisi
Per evitare il configurarsi di questo scenario, cosa bisognerebbe fare? Il report non usa mezzi termini: anche se gli istituti di credito si sono impegnati ad effettuare nuove operazioni scevre da attività inquinanti e hanno aumentato gli investimenti puliti, tutto questo non basta.
Le istituzioni regolatorie devono intervenire per impedire al settore di effettuare nuovi investimenti in sostanze nocive per l'ambiente, nonché di obbligare le banche a liberarsi di tutti quegli assets che riguardano il petrolio, il carbonio e il gas naturale che hanno in portafoglio.
Inoltre, sarebbe importante creare una sorta di bad bank verso cui far confluire tutti quei beni relativi ai combustibili fossili che non possono essere più recuperati dai bilanci degli istituti. Infine, la politica monetaria della Banca Centrale Europea deve astenersi dal sostenere in qualsiasi modo ogni attività che comprenda i combustibili fossili.