Ogni grande tragedia storica si porta sempre dietro gli strascichi della disfatta. Così succede anche con la Prima Guerra Mondiale che inferisce un colpo letale a tutta una serie di imprese che crollano sotto i colpi della grande crisi che ne viene al seguito. Insieme con esse un sistema bancario che ne è esposto.
IRI: nascita e origine
Ecco che nel 1915 la Banca d'Italia, allora di proprietà dello Stato, crea insieme ad altre banche private un consorzio che ha lo scopo di risanare le imprese in difficoltà, chiamato Consorzio per Sovvenzioni su Valori Industriali. Undici anni più tardi tale Consorzio si trasforma in un istituto dotato di personalità giuridica, ovvero l'Istituto di Liquidazioni, proprio per far fronte all'enorme crisi di liquidità su cui versano le banche italiane.
Questo rappresenta l'anticamera per la fondazione nel 1933 dell'IRI, l'Istituto per la Ricostruzione Industriale creato in epoca fascista con il denaro pubblico, che assorbe l'Istituto di Liquidazioni e copre ben 7 miliardi di lire di esposizione della Banca d'Italia.
L'ente pubblico è guidato da Alberto Beneduce, economista socialista e uomo di fiducia di Benito Mussolini. L'obiettivo è quello di fornire liquidità alle banche in cambio di partecipazioni nel capitale azionario delle stesse. In questo modo Via Nazionale può essere rimborsata e molte imprese ed enti creditizi vengono statalizzati.
Già nel 1934 lo Stato si appropria di più di un quinto del totale delle azioni dell'intero sistema industriale. Sotto il suo controllo finiscono eccellenze italiane come Ansaldo, Ilva, Termi, Alfa Romeo, ecc. che negli anni precedenti hanno ricevuto delle agevolazioni pubbliche sotto forma di commesse e di tariffe. Nonché le tre principali banche italiane, ovvero Banca Commerciale, Credito Italiano e Banco di Roma. A quel punto le banche di proprietà dell'IRI cominciano a emettere una serie di obbligazioni garantite dallo Stato per far affluire il risparmio privato nel sistema messo in piedi; risparmio che altrimenti mai arriverebbe direttamente negli istituti di credito.
IRI: la trasformazione in un ente pubblico permanente
Una volta che l'ente è stato creato, la caratteristica peculiare è la provvisorietà nella durata. Invece, complice la guerra d'Etiopia, nel 1937 il Duce trasforma l'IRI in un istituto a carattere permanente. Di conseguenza inizia una fase di emissioni di prestiti obbligazionari per finanziare le operazioni dello Stato e che danno il là per la creazione di alcuni colossi come Finmeccanica e Fincantieri.
Il vero salto di qualità però avviene dopo il 1950 quando Oscar Sinigaglia, Presidente della Finsider, società del gruppo IRI, organizza un piano industriale che coinvolge tutta la siderurgia italiana. Lo Stato a tal proposito stringe delle alleanze con i privati e partecipa attivamente allo sviluppo industriale del Paese nel settore. Questo gli dà la spinta per essere più attivo anche nelle infrastrutture, come dimostra la nascita dell'Autostrada del Sole nel 1956.
IRI: il miracolo italiano degli anni sessanta
Il boom economico degli anni sessanta ha come protagonista lo Stato italiano, con IRI che ne è il fiore all'occhiello. La formula magica messa in piedi dall'ente pubblico è una presenza mista tra pubblico e privato nel capitale societario delle grandi aziende italiane, il che da un lato lascia scorrere il libero mercato senza ingerenze, dall'altro manifesta la presenza pubblica nel controllo e nell'intervento finanziario per coprire eventuali diseconomie sul nascere. Quindi se l'azienda pubblica segue criteri imprenditoriali, nel contempo persegue quello che è l'interesse di tutta la collettività.
Inoltre molte controllate statali che sono quotate a Piazza Affari ricevono un sostegno ampio da parte della platea dei risparmiatori che sottoscrivono convintamente le obbligazioni emesse dal gruppo.
La sfida che lo Stato poi lancia nel Mezzogiorno è molto ardita e gli investimenti in quell'area fioccano, come la costruzione dell'Italsider di Taranto, dell'Alfa Sud di Pomigliano d'Arco e di Pratola Serra in Irpinia. Mentre il centro siderurgico di Gioia Tauro viene progettato ma non vede mai la luce.
IRI: le prime crepe e la crisi occupazionale
Gli ingenti investimenti dell'istituto cominciano negli anni settanta a far sentire il loro peso. Sempre più aziende private richiedono salvataggi per salvaguardare i posti di lavoro nelle fabbriche, come ad esempio nel caso della Motta, dei Cantieri Navali Rinaldo Piaggio e di Montedison.
In verità solo una parte di questi investimenti vengono coperti dai fondi pubblici dell'IRI, per gran parte si ricorre ai prestiti bancari. Così l'esposizione debitoria cresce e verso la fine degli anni settanta gli oneri finanziari portano tutte le aziende del gruppo a sonore perdite di bilancio. Questo mette in allarme anche gli azionisti che avvertono il pericolo di una disgregazione del gruppo e iniziano a vendere le loro partecipazioni.
IRI: Prodi e la ristrutturazione aziendale
L'avvento di Romano Prodi nel 1982 a capo dell'istituto inaugura la fase che viene definita della ristrutturazione aziendale con alcune operazioni discutibili ma che mirano al rifinanziamento del gruppo.
Lo scopo a quel punto non è più quello di crescere e di espandersi ma di riportare il bilancio in utile, cosa che avviene nel 1987. A questo risultato si giunge tramite la cessione di 29 aziende della holding, dove spicca quella dell'Alfa Romeo.
Non solo, in quel periodo vi è la messa in liquidazione di altre imprese importanti nel ramo siderurgico come Finsider, Italsider e Italstat. È da allora che nel nostro Paese si comincia a parlare di privatizzazioni, termine fino a quel momento sconosciuto.
IRI: la trasformazione in Spa e le privatizzazioni degli anni novanta
L'unione doganale europea del 1992, che creerà poi le condizioni per il Trattato di Maastricht negli anni a venire, accende un faro su alcune operazioni condotte dall'IRI negli anni ottanta dove a giudizio della Comunità Europea si configurano degli aiuti di Stato, contrari ai principi della Comunità stessa.
A quel punto nello stesso anno l'IRI viene convertito da ente pubblico in Società per Azioni. Ma i guai per l'ente creato da Benito Mussolini non finiscono qui. L'anno successivo sotto il capo d'imputazione finisce la concessione di fondi pubblici all'EFIM, ente di partecipazioni e finanziamenti delle industrie manifatturiere. La critica viene mossa dal Commissario Europeo alla Concorrenza, Karel Van Miert, secondo cui l'EFIM non è più in condizione di rimborsare l'enorme quantità di prestiti ricevuti.
Viste le circostanze, la soluzione più comoda per tutti è un accordo che viene raggiunto tra Van Miert e il Ministro degli Esteri italiano Beniamino Andreatta. In base a tale intesa, lo Stato paga i debiti dell'EFIM ma in cambio aziende come IRI devono stabilizzare l'assetto finanziario e quindi procedere con le privatizzazioni di gran parte delle partecipate.
In ragione del patto stipulato si dà inizio proprio quell'anno a una serie di smembramenti di molte aziende operative, a cominciare dal Credito Italiano, a proseguire con Telecom Italia e a finire nel 1997 con Società Autostrade, al centro delle discussioni di questi giorni circa un riapproprio dello Stato. Tutto questo porta nelle casse del Tesoro poco più di 56 mila miliardi di vecchie lire.
IRI: la fine della Holding di Stato
Agli inizi del nuovo millennio le aziende rimaste sotto il controllo dell'IRI sono pochissime: Alitalia, Finmeccanica, Fincantieri, Fintecna e RAI. Ben presto però vengono trasferite con la supervisione del Ministero del Tesoro e l'IRI si trasforma in una sorta di agenzia per lo sviluppo. In verità rimane in vita per poco tempo e il 27 giugno del 2000 l'ente storico, che ha risollevato il Paese dalla depressione della grande guerra, viene messo in liquidazione uscendo definitivamente dalle scene.