La riunione di questa settimana della
Federal Reserve rappresenterà un altro passo importante del percorso della Banca Centrale americana verso il traguardo di abbattimento dell'inflazione. Ciò che sta angosciando i mercati però è che
l'economia subirà un altro colpo molto forte con il rialzo dei tassi d'interesse di 0,75 punti percentuali. Alla fine il
FOMC dovrebbe confermare quelle che sono le attese degli analisti, sebbene l'inflazione oltre il 9% del mese di giugno abbia indotto alcuni funzionari a considerare una stretta addirittura dell'1%.
Il costo del denaro così si assesterà tra il 2,25% e il 2,50%, in linea con quello che viene considerato un livello adeguato a una politica economica neutrale, ossia che non stimola più la crescita. Cosa succederà in seguito è ancora un'incognita. È probabile che la Fed anche nella riunione di settembre decida per un aggiustamento dello 0,75% ed entro la fine dell'anno è possibile che il tasso dei fondi federali superi il 3,5%.
Tutto comunque dipenderà dai dati che arrivano dall'economia. Qualche segnale positivo sopraggiunge dai prezzi del petrolio e di altre materie prime che recentemente hanno invertito la loro corsa dai massimi. Tuttavia, ancora vi sono segnali negativi in ambito inflazionistico legati agli aumenti degli affitti e di altri costi dei servizi, che contribuiscono a mantenere alta l'attenzione dell'istituto centrale.
E poi bisognerà fare i conti con la
minaccia di una recessione che investe l'economia americana. La gran parte degli economisti prevede una flessione nei prossimi 6-12 mesi, con un tasso di disoccupazione che balzerà dal 3,6% attuale e circa il 5%. A tale riguardo, già diverse società di alto profilo hanno accantonato piani di assunzione o annunciato licenziamenti. Per questo è difficile immaginare che alla fine la Fed sia in grado di garantire quell'atterraggio morbido più volte ribadito dal suo Governatore,
Jerome Powell.
Fed: ecco cosa pensano gli economisti
Gli osservatori di mercato stanno seguendo attentamente l'evolversi della situazione, ma non sprizzano grande ottimismo sulle conseguenze economiche derivanti dall'inasprimento della politica monetaria della Banca Centrale. A giudizio di Ian Shepherdson, capo economista di Pantheon Economics, i funzionari della Fed hanno dovuto sopportare le critiche per non aver riconosciuto la forza dell'economia USA e quindi per essere stati troppo lenti a stringere sui tassi. Il problema ora è che "continuando con aumenti di 75 punti base si rischia di esagerare", sostiene Shepherdson.
Le stesse preoccupazioni le nutre Brian Sack, direttore dell'economia globale per il gruppo De Shaw, nonché ex alto funzionario della Fed. L'esperto giudica produttivi finora il messaggio lanciato dall'istituto monetario e le scelte aggressive sui tassi, ma afferma che occorra un ritmo più lento di inasprimento e un messaggio politico più equilibrato entro la fine dell'anno.
Diane Swonk, capo economista di JPMG, ritiene che la Fed ora dovrà sostenere un lavoro più impegnativo, con una recessione probabile e i consumatori che avvertono l'effetto di maggiori costi di finanziamento. La questione a suo avviso è che l'inflazione scenderà ma nello stesso momento in cui sale la disoccupazione. Per questo il contesto diventa davvero difficile da gestire.