Nessuno sa effettivamente cosa potrà succedere nei prossimi mesi nella Borsa americana, ma una cosa è certa: la variante Omicron e la svolta da falco di Jerome Powell hanno scosso Wall Street. Quando è stata annunciata la presenza di un nuovo ceppo del Covid-19 proveniente dal Sudafrica gli indici azionari statunitensi hanno reagito malamente, in preda alla paura che se il virus dovesse dilagare nuove restrizioni potrebbero arrivare, arrestando così la ripresa economica post-pandemia.
L'incertezza è la cosa meno sopportata dagli investitori e il fatto che di questa variante non si conosca ancora molto, se sia più o meno contagiosa o più o meno letale, ha contribuito a seminare il panico con gli operatori che hanno preferito vendere. Qualche rassicurazione arrivata dagli scienziati sudafricani al riguardo, nonché le promesse delle case farmaceutiche di produrre nel caso un aggiornamento del vaccino in poco tempo, hanno ridato fiato ai mercati.
Fino a quando non è intervenuto il Governatore della Federal Reserve, che davanti al Congresso USA ha bannato la parola transitoria con riferimento all'inflazione, sempre utilizzata da aprile di quest'anno. Questo per i mercati potrebbe essere un colpo anche più violento in quanto spianerebbe la strada al rialzo dei tassi anticipatamente rispetto ai tempi previsti. Colui che nel 2018 aveva smantellato il sistema di continui incrementi del costo del denaro facendo raddoppiare le quotazioni dell'S&P 500, adesso rischia di dar vita al processo inverso.
Wall Street: un indicatore preannuncia tempesta
Questi 2 fattori sicuramente terranno banco nelle prossime settimane e con ogni probabilità rappresenteranno i principali driver dell'andamento degli indici americani in una direzione o nell'altra. Tuttavia, vi è un indicatore abbastanza inquietante che riporta alla mente alcuni fatti passati nella Borsa statunitense non proprio piacevoli, per usare un eufemismo. Si tratta della capitalizzazione totale del mercato azionario statunitense rispetto al PIL del Paese. Questo rapporto è giunto oggi al 215%, un livello considerato a dir poco esagerato e segnaletico di una correzione in arrivo.
Nel 1929, prima della Grande Crisi, il valore totale di tutte le azioni della Borsa USA arrivò al massimo storico sul PIL, ossia al 100%. Alla fine dell'anno si verificò la catastrofe che molti conoscono. L'indicatore raggiunse il 150% nel 2000, appena poco tempo prima che si scatenasse il putiferio con il crollo delle Dot-com. Una situazione identica ci fu a ridosso della crisi dei mutui subprime del 2008 che segnò il fallimento della Lehman Brothers.
Questo significa che prima o poi le azioni andranno in caduta libera? Non è dato esattamente di sapere quanto valutazioni così alte possano durare. Così è successo per tutto il periodo pandemico, ad esempio. L'unica cosa che andrà considerata è che tutti quei crolli citati nei tempi passati avevano un comune denominatore: arrivarono quando emersero segnali importanti di deterioramento dell'economia, dando in tal modo valenza a questo indicatore.