Le quotazioni di Bitcoin hanno bucato nuovamente la soglia psicologica di 50.000 dollari e staziona al di sopra di tale quota da qualche giorno. Rispetto al periodo di massimo fulgore, la criptovaluta sembra aver perso quello sprint che accendeva la fantasia dei più accaniti sostenitori.
Rimane da capire se stiamo vivendo una fase di stanca dove magari il mercato si è fermato a riflettere nell'attesa di prendere una decisione, oppure se gli investitori stanno aspettando un ulteriore spunto per rilanciarsi all'attacco con gli acquisti.
Ancora molti sono convinti che il cambiamento in atto sia epocale: Bitcoin assumerà il ruolo che per tanti anni è stato esercitato da asset come l'oro o il Dollaro USA. Ma, come vediamo, quelli che fino a poco tempo fa venivano considerati beni rifugio oggi risultano parecchio ammaccati. Ancor più che all'orizzonte si profilano spinte inflazionistiche che stanno mettendo in subbuglio i mercati finanziari.
Molti altri investitori istituzionali si faranno avanti, secondo gli ottimisti sulle sorti della valuta virtuale. Le società quotate in Borsa hanno già investito circa 9 miliardi in Bitcoin e circa l'80% hanno visto la partecipazione di Tesla con 1,5 miliardi di dollari e la società di software MicroStrategy con 4,5 miliardi di dollari. A queste si è aggiunto recentemente la società di pagamenti Square la quale, consentendo agli utenti di acquistare e vendere moneta digitale, ha rimpolpato le casse con 170 milioni di dollari di Bitcoin il mese scorso.
Bitcoin: volatitità e tempi accettazione, due criticità
Una statistica un pò inquietante arriva però dalla società di ricerca statunitense Gartner, che ha intervistato 77 dirigenti d'azienda in merito alla principale criptovaluta. Dall'analisi è emerso che solo il 5% ha affermato di voler detenere Bitcoin nel proprio portafoglio nel 2021. L'84% degli interpellati ha dichiarato a chiare lettere di non avere la minima intenzione di considerarlo come asset aziendale.
Tra le motivazioni di questa avversione vi sta in primo luogo l'elevata volatilità che potrebbe mettere a rischio la stabilità del bilancio societario. Va ricordato che la parabola che negli anni ha vissuto la criptocurrency è stata vertiginosa. Nel 2013 è Bitcoin è arrivato a valere 1.000 dollari partendo da una quotazione di appena 13 dollari. Quattro anni più tardi è passato da 1.000 a 20.000 dollari, salvo poi precipitare violentemente all'inizio del 2020 fino a 4.000 dollari. Da lì ha ripreso un percorso sensazionale che l'ha indirizzato al record storico di 58.000 dollari del 21 febbraio di quest'anno.
A preoccupare i massimi esponenti aziendali non è però solo la volatilità, ma anche la lentezza attraverso cui Bitcoin verrà accettato come metodo di pagamento da parte delle istituzioni importanti. Paypal e Mastercard hanno fatto i primi passi in tale direzione ma il percorso potrebbe essere lungo e accidentato. E da qui un altro motivo di perplessità derivante dalla regolamentazione che, almeno per il momento, sembra rivestire poca convinzione nei Governi e nelle Banche Centrali.
Bitcoin: altri due grandi rischi d'investimento
Detenere Bitcoin espone tra l'altro ad altri due rischi che spesso vengono presi poco in considerazione, ma che incidono sulla scelta se investire o meno sulla criptovaluta a livello aziendale e non. Un primo rischio è di natura contabile ed ha a che vedere con i principi del Financial Accounting Standards Board delle società statunitensi.
In base alle linee guida, l'investimento in Bitcoin equivale alla detenzione di attività immateriali. Questo comporta che, nel caso in cui il valore della moneta virtuale aumenti, le società non possono registrare i guadagni. Al contrario, se la criptomoneta perde di valore, l'investimento deve essere svalutato e i profitti successivi devono essere registrati solo in caso di vendita. Tutto questo a differenza di quanto avviene con le valute normali, le cui fluttuazioni in entrambe le direzioni impattano allo stesso modo sul bilancio aziendale.
Al di fuori degli Stati Uniti tutto ciò non accade, sebbene Bitcoin viene sempre contabilizzato come un'attività immateriale. Però in tal caso le eventuali svalutazioni possono essere annullate successivamente con la risalita del prezzo, anche senza vendere.
Un altro grande rischio concerne riguarda la sicurezza legata ai problemi di archiviazione delle risorse digitali. Il pericolo di smarrimento della password è sempre dietro l'angolo e, una volta che avviene, non c'è modo di recuperarla e di salvaguardare il proprio denaro investito. Stesso discorso vale per le questioni di hackeraggio. La conservazione offline è sempre quella consigliata, ma non ci sono standard normativi di protezione al momento.