Le criptovalute non danno certezze, o meglio trasmettono più insicurezza rispetto ad altri asset proprio per le loro caratteristiche intrinseche. Questo lo abbiamo visto nelle ultime settimane, dove sul mercato delle valute virtuali si è assistiti ad un saliscendi continuo, con una volatilità a volte fuori controllo.
Ciò che salta soprattutto all'occhio è questa estrema vulnerabilità che le monete digitali hanno in reazione a un tweet di questo o quel personaggio importante. Per questa ragione i detrattori continuano a manifestare il loro scetticismo sul ruolo di bene rifugio che i token potrebbero esercitare, in particolar modo al cospetto di un'inflazione che si fa sempre più minacciosa.
Nel panorama generale degli investitori o di coloro che offrirebbero servizi agli stessi riguardo le criptovalute, le banche d'affari hanno mostrato nel complesso sempre una cautela di fondo, dovendosi destreggiare tra due fuochi. Uno è rappresentato dai clienti che esercitano pressione per avere accesso al mondo criptovalutario, attirati dall'avidità di grossi di guadagni.
Un altro invece è costituito dalle Autorità di vigilanza che tendono a mettere un freno agli istituti finanziari dall'esporsi troppo in un settore considerato altamente rischioso. Vediamo quindi qual è al momento la posizione sulle criptovalute delle più grandi banche d'affari mondiali su Bitcoin e simili.
JP Morgan
La più grande banca d'affari americana è stata il primo istituto statunitense a creare una rete basata su blockchain peer-to-peer, denominata Onyx. Tuttavia, sulle criptovalute la posizione di JP Morgan è abbastanza combattuta. Gli analisti hanno un atteggiamento positivo, ma il CEO Jamie Dimon mantiene una certa cautela.
Ad ogni modo la banca ha in gestazione per questa estate il lancio di un fondo Bitcoin per i suoi clienti privati e ha presentato alla SEC nel mese di marzo una proposta per mettere sul mercato un paniere di azioni che hanno una certa esposizione alle criptovalute, come MicroStrategy e Square, le quali hanno investito delle quote importanti in Bitcoin.
Goldman Sachs
In questo momento Goldman Sachs fornisce ai suoi clienti istituzionali un trading desk che riguarda la negoziazione di futures con sottostante Bitcoin. La banca sembra in attesa che le Autorità di regolamentazione consentano di acquistare, vendere e detenere valute digitali per mettersi a pieno organico sul mercato. Per ora però l'istituto non sta sviluppando, a differenza di altri, la sua tecnologia nella blockchain, preferendo rivolgersi a sviluppatori esterni.
Morgan Stanley
Da marzo 2021 anche Morgan Stanley è entrata nel mondo delle criptovalute con 3 fondi agganciati a Bitcoin: 2 forniti da Galaxy Digital e uno in tandem da FS Investments e NYDIG. Per accedere ai fondi però sono richieste alcune condizioni, come quelle di avere un conto presso la banca e una disponibilità che varia dai 25.000 ai 5 milioni di dollari.
Citigroup
All'interno dell'istituto bancario prevale la cautela. Anche gli analisti sembrano avere un approccio molto tranquillo nei confronti del mondo crypto. I vertici della Banca hanno espressamente dichiarato che in futuro Citi potrebbe offrire il trading, la custodia e il finanziamento delle valute virtuali, ma sempre nell'ottica di avvantaggiare la clientela e nel rispetto della regolamentazione delle Authority statunitensi.
Bank of New York Mellon
La banca newyorchese è una delle più convinte sulla blockchain. Da parecchio tempo assume posizioni molto possibiliste e ha affermato di voler essere la prima piattaforma che custodisce e amministra le criptovalute nell'ottica di un servizio multi-asset per tutto il settore.
HSBC
La posizione di HSBC è sempre stata molto ostile nei confronti dell'ambiente crittografo. Per bocca del suo Amministratore Delegato, Noel Quinn, la banca si è espressa in maniera netta: le criptovalute sono troppo volatili e poco trasparenti, quindi non c'è nessuna intenzione di esporre i clienti a un rischio così elevato. In realtà l'anno scorso HSBC ha sviluppato Digital Vault, una piattaforma basata sulla blockchain che utilizza la tecnologia open source di R3 Gis.
Barclays
Il grande istituto britannico non ha fatto mistero della sua avversione verso Bitcoin e simili, considerandoli eccessivamente volatili e poco vantaggiosi per gli investitori in termini di diversificazione. Vi è però un rapporto del 2019 in cui la banca rivela di aver iniziato ad esplorare la blockchain senza però fornire dettagli in proposito.
UBS
La banca svizzera è stata sempre molto attiva nel digitale, per quanto non offra ancora dei servizi criptovalutari ai clienti. Le iniziative più ragguardevoli sono essenzialmente due: Fnality e We.trade. La prima raccoglie una serie di istituti come Santander e Lloyd Banking Group, per lo sviluppo di un token che serve per regolare le transazioni transfrontaliere.
La seconda è una piattaforma di regolamento commerciale basata su blockchain lanciata da un consorzio guidato da UBS e che comprende Société Générale, Caixa Bank, HSBC, Santander, UniCredit, Nordea, KBC, Rabobank e Deutsche Bank.
Deutsche Bank
Ancora la grande banca tedesca non ha una posizione netta sulle criptocurrency. Nelle espressioni dei suoi più illustri funzionari si è sempre ravvisata una certa raccomandazione alla prudenza, benché si è messa in gioco la possibilità che in futuro alcune crypto potrebbero comportarsi come l'oro quanto a bene rifugio. Tuttavia la volatilità sembra destinata a rimanere alta a giudizio dell'istituto, il quale in questo momento non offre alcun servizio ai propri clienti con riferimento alle valute digitali.
Standard Chartered
Standard Chartered ha rotto da tempo gli indugi sulle criptovalute e si è lanciata convintamente allo sviluppo del trading da offrire ai propri clienti istituzionali. Per questo ha fatto una joint venture con BC Group per dare la possibilità alla clientela di Regno Unito ed Europa di accedere ad alcuni token, Bitcoin ed Ether in testa, attraverso una piattaforma di scambio di asset digitali. La banca è persuasa del fatto che la blockchain sarà destinata a rimanere a lungo e rappresenterà una componente molto rilevante nel mercato istituzionale.