In ambiente blockchain e criptovalute, per cercare di specificare determinate tipologie di “offerta” si fa leva sulla nota dicotomia Bitcoin contro Altcoins, al di là delle diverse tecnologie, degli algoritmi di consenso e dei protocolli. La coesistenza di queste due anime spesso nasconde una profonda differenza di vedute all’interno del settore delle valute digitali, nata con la fondazione di Ethereum e che si è acuita con lo scorrere del tempo e con la crescita di tutto l’ambiente.
I massimalisti: ecco chi sono
La coesistenza appena menzionata non è sempre pacifica: vi sono infatti molti bitcoiners, magari della prima ora, che criticano aspramente le tecnologie alla base di molte, se non tutte, le altcoins. Sono i cosiddetti massimalisti, ossia i puristi del Bitcoin che in maniera sprezzante e pittoresca chiamano tutte le altcoins “scamcoins”.
Di solito questi soggetti non accettano le premesse sulle quali sono state costruite le alternative: migliorare qualcosa che il Bitcoin ha già o costruire qualcosa che ancora non ha. Il termine è stato coniato da Vitalik Buterin in senso spregiativo. Come spesso accade in questi casi, questo nickname è stato accolto dai destinatari delle sue invettive come un simbolo dell’orgoglio Bitcoin. Le dure critiche che i massimalisti muovono ai nuovi progetti sono sempre legate ad alcuni aspetti di carattere tecnico.
Criptovalute: il trilemma
Una criptovaluta deve essere decentralizzata, sicura e scalabile. Per le conoscenze che abbiamo in questo momento non è possibile soddisfare tutte e tre le richieste allo stesso tempo: si tratta quindi di un trilemma: un problema a tre variabili in cui soltanto due di queste possono essere risolte contemporaneamente.
Per farla breve, se vogliamo più decentralizzazione avremo meno scalabilità, se vogliamo più scalabilità avremo meno sicurezza, e via così. Questi tre elementi sono profondamente legati fra loro e un guadagno su uno dei tre si ripercuote in perdita su uno o entrambi gli altri due.
Si tratta di un concetto che va al di là del settore delle criptovalute e che è riscontrabile in tanti altri aspetti del mondo reale. In ogni caso è qui che si innestano tutte le altcoins, promettendo di raggiungere equilibri migliori rispetto a quello che già offre il Bitcoin. Andiamo ora a scoprire quali sono i motivi per cui, secondo i massimalisti, nessuno di questi progetti riesce nell’intento.
Le tesi dei massimalisti: la genesi
Partendo dal primo blocco, tutti i Bitcoin sono stati minati utilizzando la potenza computazionale dei dispositivi degli utenti. I primi anni questo è stato fatto in maniera totalmente disinteressata da coloro i quali non avevano nessun fine particolare se non quello di costruire qualcosa di utile partendo dagli assunti relativi al mondo delle valute virtuali. Questi idealisti hanno gettato le fondamenta per il lancio di una rete globale che nell’indifferenza generale è cresciuta sempre più e ha finito per arrivare dove è oggi.
Il processo di genesi e creazione della rete è un qualcosa di impossibile da replicare. Oggi chi crea una nuova coin in genere fornisce una supply preminata ai primi investitori e utilizza i soldi che arrivano in campagne estremamente aggressive di marketing. È chiaro che in un contesto di questo tipo gli interessi economici siano troppo grandi e non permettono la creazione di una rete neutra e incorruttibile, o perlomeno la rendono più difficile.
Le tesi dei massimalisti: la falsa decentralizzazione
Parlando ad esempio di Ethereum e della sua blockchain possiamo dire di come sia molto più pesante di quella di Bitcoin e scaricarla è dunque molto più complesso per via delle tempistiche necessarie. Per questa ragione i nodi validanti della rete sono molti meno rispetto a quelli della prima valuta virtuale per capitalizzazione. A questo si aggiunge il problema dell’attaccabilità della rete: meno nodi significa meno punti da colpire nel caso in cui si fosse interessati alla distruzione del network. Oltre a questo, essendo i personaggi a guida del progetto arcinoti è facile andare a rintracciarli e zittirli. Come si intuisce, ciò implica una minore sicurezza.
Le tesi dei massimalisti: gli smart contracts
Una delle cose che spesso i massimalisti dicono è che solitamente tutte le altcoins sono state costruite andando ad approfondire una qualche idea che la community di Bitcoin aveva già considerato ma che poi ha deciso di non adottare per i più svariati motivi. È il caso dell’implementazione degli smart contracts su molte piattaforme quali Ethereum, Cardano, EOS e simili.
Nel caso di Bitcoin si è deciso di tenere leggero il software, senza sovraccaricarlo con l’esecuzione di funzioni non necessarie allo scopo fondamentale. Si è deciso questo perché le valutazioni fatte hanno reputato che i benefici ottenibili fossero inferiori rispetto agli svantaggi e ai nuovi problemi che sarebbero stati creati. Appesantendo la rete si paga in decentralizzazione e sicurezza, senza considerare i dubbi relativi alla scalabilità sul lungo periodo.
Conclusioni
Quelli che ho fornito in precedenza sono spunti da indagare meglio per chi fosse interessato agli argomenti. In questo sensoo, sono interessanti i punti di vista di Giacomo Zucco e Adam Beck. Ritengo inoltre opportuno sottolineare un ultimo fatto: chi si definisce massimalista conosce bene i problemi cha ha il Bitcoin e sa quanto sia inefficiente rispetto ai sistemi centralizzati che utilizziamo quotidianamente. Il Bitcoin non è perfetto e ancora bisognerà lavorare tanto.