Per i miner di
Bitcoin digerire il ban totale delle criptovalute in Cina lo scorso anno non è stata una cosa semplice.
Pechino ha rappresentato il più grande hub di estrazione del mondo, occupando tra il 65% e il 75% della potenza di elaborazione totale della rete Bitcoin. Ma quando le Autorità cinesi hanno aperto la caccia alle criptovalute e la capacità di mining del Paese si è azzerata, i miners si sono messi in fuga verso Paesi confinanti come il Kazakistan o addirittura a migliaia di chilometri di distanza negli Stati Uniti.
Nel frattempo però è stata studiata una scappatoia per aggirare la repressione di Pechino. Lo dimostra una ricerca del Cambridge Center for Alternative Finance, che mette in luce come a settembre del 2021 la Cina occupava il 22% del mercato totale del mining di Bitcoin, appena dietro agli Stati Uniti. Come è stato possibile? Alcuni miners della criptovaluta hanno utilizzato una rete privata virtuale per nascondere la loro posizione, instradando il traffico attraverso un server in un altro Paese.
Mining Bitcoin: le preoccupazioni della Cina
Tutto ciò desta molte preoccupazioni per il Dragone, le stesse che hanno portato le Autorità a prendere la decisione drastica di soppiantare le criptovalute dal territorio cinese.
La tecnologia di estrazione di Bitcoin nota come proof of work è estremamente energivora, raggiungendo il livello di consumo di Paesi come Svezia e Norvegia, per fare alcuni esempi. Al riguardo la Cina nel 2021 ha dovuto affrontare diversi black-out di corrente e questa è una cosa che non può essere tollerata da parte delle istituzioni del Paese.
Inoltre, vi è un altro grosso problema legato alla transizione energetica. Pechino è ancora fortemente dipendente dal carbone nel suo fabbisogno energetico, quindi sta incrementando gli sforzi per la decarbonizzazione totale entro il 2060, puntando sulle energie rinnovabili. Quindi il mining delle criptovalute viene visto come una minaccia per il raggiungimento dell'obiettivo.
Con il calo dei prezzi di Bitcoin di oltre il 50% dai massimi storici raggiunti a novembre, adesso estrarre la valuta digitale è divenuto meno redditizio, ma ancora vi sono 2 milioni di unità da minare e il problema sussiste.
A questo punto si attende una qualche reazione da parte della Commissione Nazionale per lo sviluppo e la riforma della Cina e da parte della
People's Bank of China, le massime Autorità preposte a prendere decisioni sull'argomento e che da sempre hanno lanciato allarmi consistenti relativamente al mining e al trading delle monete virtuali. Ricordiamo che
la Cina è stato il primo Paese ad aver adottato una moneta virtuale totalmente controllata dalla Banca Centrale, proprio per dare un segno di superamento della tendenza popolare verso le criptovalute nel Paese.
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