Salgono ancora le tensioni tra USA e Cina. Nella giornata di oggi a Washington la Camera dei Rappresentanti ha approvato all'unanimità una legge che potrebbe delistare le società cinesi da Wall Street qualora non rispettino gli standard americani di revisione contabile.
Il provvedimento segue la prima approvazione che nel mese di maggio era stata effettuata al Senato, sempre con voto unanime. Il testo in particolar modo vieta la quotazione alla Borsa di New York dei titoli stranieri se le società rappresentative non si conformano alle verifiche del Public Accounting Oversight Board per 3 anni consecutivi.
Ora manca solamente la firma dell'ancora Presidente in carica Donald Trump a suggello dell'atto parlamentare. Ovviamente la stretta riguarda qualsiasi società straniera, però le compagnie cinesi esercitano un peso molto più rilevante a Wall Street.
Stretta società cinesi: obiettivo tutelare gli investitori
Anche se la legge è generalizzata, appare chiaro l'intento del Congresso di colpire Pechino, che ha tratto parecchi vantaggi negli anni dalla disparità negli standard di audit rispetto ai gruppi statunitensi. E questo viene fatto soprattutto per tutelare gli investitori americani che si potrebbero trovare in una condizione di asimmetria informativa diffusa se si mantenesse lo status quo. Peraltro, grazie a questa legge, le società quotate ora devono dare comunicazione tempestiva nel caso in cui dovessero venire sottoposte al controllo di un Governo straniero.
La tornata parlamentare ha ricevuto il consenso dell'American Securities Association, la quale ha affermato che il disegno di legge si rende necessario contro le società fraudolente guidate dal Partito Comunista Cinese. Da parte delle Autorità cinesi, la reazione è stata dura. Il portavoce del Ministero degli Esteri Hua Chanying ad esempio ha evidenziato un sistema discriminatorio degli Stati Uniti nei confronti delle aziende straniere, cinesi in particolari, attraverso inutili barriere.
Stretta società cinesi: quali conseguenze?
Le società cinesi maggiormente indiziate sarebbero quelle aventi una certa influenza nella Borsa di New York. Si pensa a grandi gruppi come Alibaba, China Telecom e Petrochina. Tuttavia l'eventuale delisting difficilmente ridimensionerebbe le ambizioni finanziarie di Pechino.
Molte società continuano a raccogliere capitali presso altre Piazze, Hong Kong in testa. Su questo mercato, quest'anno gli investimenti stranieri sono arrivati a una quota di 354 miliardi di dollari, con un aumento del 65% rispetto al 2019. Una cifra che ancora corrisponde al 4% del totale ma, visto l'andazzo, sarebbe destinata inevitabilmente a crescere.
Inoltre anche lo stesso Governo cinese preferirebbe che i grandi colossi nei vari settori si quotassero in Cina invece che a New York. Ancor più che, fino a quando non diventerà operativa la legge, le aziende del Dragone hanno tutto il tempo per pianificare qualsiasi azione e per attingere agevolmente al mercato dei capitali.
Bisogna ricordare che, da novembre 2019 a settembre 2020, ben 8 società cinesi quotate a New York e che rappresentano una capitalizzazione di mercato di 1.000 miliardi di dollari, hanno effettuato una quotazione secondaria ad Hong Kong. Questo rende l'idea dell'enorme mole di denaro che potenzialmente potrebbe affluire verso la Borsa cinese.