Le quotazioni del petrolio quest'anno sono riuscite a sorprendere il mercato. Alla fine del 2021 gli analisti ritenevano che il greggio nell'anno corrente avrebbe registrato un prezzo medio di 73 dollari al barile nel caso del Brent e di 70 in quello del WTI. Invece l'oro nero ha viaggiato a una media di 101 dollari con riferimento al petrolio del Mare del Nord e a 95 dollari per il benchmark texano. Ovviamente gli esperti del settore non potevano prevedere che la Russia avrebbe invaso l'Ucraina innescando un crollo dell'offerta a causa dellle sanzioni occidentali.
Il greggio tuttavia ha perso considerevolmente quota dai massimi dell'anno registrati a quasi 140 dollari al barile, scivolando fino a toccare 70 dollari prima della risalita verso gli 80 dollari. Quest'ultimo è oggi considerato un valore di equilibrio, che permette ai produttori di continuare a estrarre con profitto senza spingere eccessivamente sui prezzi al consumo.
Petrolio: due forze contrastanti sui prezzi
Sono due le grandi forze che nel 2023 saranno decisive per determinare il prezzo del petrolio. Una riguarda il price cap a 60 dollari sul greggio russo stabilito da G7, Unione Europea e Australia ed entrato in vigore dal 5 dicembre. In base a tale provvedimento, chiunque intenda ricevere servizi assicurativi, finanziari e di trasporto con le compagnie delle nazioni facenti parte dell'accordo dovrà pagare un prezzo della materia prima proveniente dalla Russia non superiore al tetto massimo stabilito. Questo potrebbe spingere le quotazioni generali verso il basso, che alcuni analisti individuano in 50 dollari al barile.
A fare da contrappeso però vi è l'apertura da parte della Cina, che ormai sembra determinata a lasciarsi alle spalle la politica zero Covid che ha contrassegnato gran parte del 2022. Riaperture nel Dragone comporterebbero un incremento della domanda di petrolio, visto che Pechino è il maggiore acquirente di greggio al mondo. Conseguentemente i prezzi tornerebbero a crescere, per arrivare secondo altri analisti ad almeno 100 dollari al barile.
L'arbitro della partita però potrebbe essere l'arrivo di una recessione nelle economie sviluppate, ed in particolar mod l'intensità della stessa. Perché una contrazione lieve dell'economia potrebbe anche avere effetti limitati, ma se la flessione dovesse essere pesante allora si potrebbe configurare un forte calo della domanda e quindi dei prezzi.
Le opinioni degli analisti
Gli analisti quindi sono divisi su dove si dirigeranno i prezzi del petrolio l'anno prossimo. Matt Murphy, analista della banca d'affari Tudor Pickering Holt, osserva che la domanda di energia sta diminuendo a un ritmo più veloce del previsto. Nel contempo, il petrolio si sta accumulando nei serbatoi di stoccaggio. Inoltre, per l'esperto, il piano della Cina riguardo il Covid è ancora una zona d'ombra e la Russia sembra che abbia dirottato la maggior parte del petrolio sottoposto a sanzioni verso la Cina e l'India.
Per Daniel Yergin, vice presidente di S&P Global e storico dei mercati petroliferi, il risultato netto delle sanzioni alla Russia potrebbe essere ribassista per il petrolio. "A meno che la Cina non torni con forza, mi sembra che questo limite di prezzo abbia una spinta gravitazionale verso il basso", ha affermato.
A giudizio di Nicholas Colas, co-fondatore di DataTreak Research, a far scendere i prezzi potrebbe essere una recessione. L'esperto sottolinea come nelle precedenti recessioni il petrolio abbia avuto una tendenza a perdere dal 40% al 50% del suo valore. Questo vorrebbe dire che, facendo riferimento al prezzo medio di 95 dollari al barile del WTI quest'anno, le quotazioni potrebbero cadere al di sotto dei 57 dollari nel 2023.