L’inflazione è un fenomeno ormai globale. I Paesi emergenti stanno tentando di arginarne gli effetti con aumenti sempre più consistenti nei tassi di interesse. I Paesi del mondo sviluppato devono fare i conti con manovre straordinarie di bilancio per contenere le bollette energetiche, rimuovendo parte delle politiche monetarie ultraespansive avviate durante la pandemia, il cosiddetto tapering.
L’inflazione è però un fenomeno che non si riassorbe in poche settimane. Quando il genio esce dalla lampada poi farlo rientrare non è semplice. La calma ostentata dalle banche centrali circa la transitorietà del fenomeno è stata archiviata dallo stesso Powell che ormai ha giudicato strutturale un certo livello di inflazione. La FED alzerà così il costo del denaro nel 2022 due volte, forse tre.
L’inflazione è però anche un fenomeno che ha effetti nefasti nella vita di ogni risparmiatore e consumatore. Se ne stanno già accorgendo quei consumatori attratti dal cibo fast food, un esempio di quelli che prevedibilmente saranno fenomeni destinati ad allargarsi nei carrelli dei supermercati piuttosto che nei bar e ristoranti. L’aumento dei prezzi di McDonals’s e Coca Cola rappresenta l’inevitabile adeguamento ad una realtà fatta di maggiori costi di energia, materie prime, trasporti e probabilmente anche dipendenti e affitti.
La notizia di qualche settimana fa circa l’incremento del prezzo del menù di McDonald’s del 6%, fa il paio con la notizia di Coca Cola che continuerà a ritoccare i listini in previsione di un 2022 con prezzi di forniture ancora in crescita. Coca Cola aveva già aumentato il costo del suo prodotto ad aprile 2021 proprio per effetto del rialzo nei prezzi delle materie prime.
Sia McDonald’s che Coca Cola all’annuncio di questa news sui prezzi, avvenuta in contemporanea con la pubblicazione delle trimestrali di bilancio, erano balzate all’insù in Borsa. McDonald’s tornando a ridosso dei massimi storici, Coca Cola a maggio aveva fatto lo stesso in concomitanza con l’annuncio.
In Borsa contano gli utili non l'interpretazione delle notizie da parte di qualche media mainstream. Il motivo è molto semplice. L’inflazione non danneggia queste società con brand fortissimi e che possono abbastanza facilmente adeguare i propri listini (e quindi ricavi) all’aumento dell’inflazione dei fattori di produzione.
Per coloro che volessero investire nelle società con forte brand collegato ai beni di consumo, i cosiddetti consumer staples, esistono ETF che puntano su indici globali piuttosto che europei o americani. Il mondo US Consumer Staples è per ovvi motivi di capitalizzazione il più interessante e l’ETF di SPDR S&P US Consumer Staples Select Sector (ISIN IE00BWBXM385).
Oltre 100 milioni di euro di capitalizzazione, replica fisica e spese correnti dello 0,15% annuo, questo ETF presenta un’esposizione diversificata ai prodotti per la casa (circa un quarto del portafoglio), alle bevande (un altro quarto) e ai prodotti per il cibo e collegati (il 40% del totale).
Sono 32 le società rappresentate nel paniere con Coca Cola e Pepsi Cola che coprono quasi il 20% del portafoglio. Altri brand tipici dei consumi di massa come Procter & Gamble, Philip Morris e McDonald’s fanno parte di un ETF che, e questo è un aspetto interessante, fa sistematicamente meglio dell’indice di oltre 30 punti base all’anno. Sinonimo di un'ottima capacità di gestire la replica ripagando ampiamente i costi.
In sintesi possiamo quindi dire che per quegli investitori che sono preoccupati dell’inflazione esistono strumenti settoriali in grado di offrire un’esposizione a società capaci di rendersi impermeabili all’evoluzione della stessa. Con ritocchi nei listini che difficilmente impattano sui volumi dei ricavi le consumer staples rappresentano un ottimo scudo contro gli effetti nefasti che, ad esempio, l’inflazione può avere su settori più growth o del reddito fisso.