La decisione del G7 di avviare una regolamentazione su scala globale che possa imporre una tassa minima alle grandi multinazionali potrebbe surriscaldare ulteriormente temi come value contro growth oppure small caps contro large caps. Soprattutto su quest'ultimo argomento mi vorrei concentrare nell’articolo odierno.
Pur rimanendo ancora al di sotto del massimo di forza relativa small vs large, negli ultimi mesi le piccole e medie capitalizzazioni mondiali hanno avviato un percorso di recupero piuttosto intenso, conoscendo solo di recente una fase di correzione. La notizia arrivata da Londra sulla volontà del G7 di mettere un freno ai privilegi fiscali di varie aziende potrebbe infatti favorire degli arbitraggi tra large e small.
Tassa minima globale: non solo i colossi del web
Basti pensare ad esempio che fatto 100 il numero delle società globali che pagano una tassa effettiva inferiore al 15%, il 66% è rappresentato da aziede USA. Se prendiamo come riferimento l’indice MSCI All Country World, il 25% delle società paga meno del 15% di imposte e il 56% ha domicilio fiscale sul suolo americano. L'imposizione fiscale media pagata dei gruppi appartenenti a questo paniere risulta essere del 23,3%.
Attenzione però a colpevolizzare troppo i giganti del web. Se Apple ad esempio paga tasse effettive per il 14,4%, Amazon per l’11,8% e Facebook per il 12,2%, stupisce vedere una società attiva nel settore sanitario come Johnson & Johnson con un’aliquota effettiva al 10,8% o Pfizer al 6,4% e Nike al 12,1%. E che dire di Bank of America che vanta un’aliquota inferiore al 6% (fonte dati: Bloomberg).
Il fenomeno appare decisamente più esteso e le lobby potrebbero andare a trattare con la politica, rendendo questo percorso un po’ più complesso di quello che i titoli di giornale hanno dipinto nei loro articoli recenti. Anche a livello geografico sarebbe sbagliato puntare il dito solo contro l’America. Il 70% delle aziende quotate in Arabia Saudita pagano meno del 15% di tasse. Singapore e Tailandia presentano più del 40% delle società quotate con una tassazione inferiore alla soglia stabilita al G7.
Wall Street: con tassa minima globale favorite le small cap
Questa lunga premessa per mettere in evidenza come le eventuali mosse di ribilanciamento causate da aspettative di utili inferiori nei prossimi anni sulle large cap potrebbe vedere proprio le small cap come naturale beneficiario dei flussi in uscita dalla fetta di mercato più gradita dagli investitori negli ultimi anni. Non è un caso che nella prima giornata di Borsa successiva alla notizia a Wall Street il Russell 2000 ha aperto in rialzo mentre Nasdaq e Dow Jones in moderato calo.
Considerando che questa decisione si inserisce in un contesto di graduale normalizzazione nelle politiche monetarie e di conseguenza di progressiva ripresa di forza relativa dei settori più value rispetto a quelli growth. Un ETF come SPDR MSCI World Small Cap (ISIN IE00BCBJG560) rappresenta uno strumento di investimento naturalmente a basso costo per cavalcare questa nuova tendenza. La capitalizzazione di mercato di questo ETF prima della pandemia era pari alla metà di quello attuale (oltre 800 milioni di dollari) e questo la dice lunga sull’idea del mercato su questo tema.